Esplor/Azioni
tra Arte e Teatro
IX edizione
14 settembre - 4 ottobre 2008
È sempre un motivo di
soddisfazione poter sostenere e valorizzare le iniziative culturali,
particolarmente se queste sono legate al territorio e contribuiscono a far
conoscere posti altrimenti poco noti o difficilmente accessibili della nostra
città.
È il caso
di Esplor/Azioni tra Arte e Teatro, questo piccolo festival teatrale che,
giunto alla sua nona edizione, ha da sempre come filo conduttore lo stretto
legame fra il luogo e le figure, e che quest’anno ci inviterà ad ascoltare
consigli e precetti del tempo passato validi ancora oggi, nati per rendere più
piacevole il vivere collettivo. Una scommessa sempre attuale.
I luoghi
scelti si distinguono ancora una volta per la loro bellezza e unicità e
contengono sia l’invito a dedicargli amore e attenzione, che la richiesta
di un costante impegno per conservarli a dispetto del trascorrere del tempo.
Ringrazio
gli artisti che ci permettono questo viaggio nei luoghi e nei costumi d’Italia
e auguro agli spettatori di gustare il piacere del vivere bene.
Umberto Croppi
Assessore alle
Politiche Culturali del Comune di Roma
Torna Esplor/Azioni, e questa è la
nona edizione del festival. Abbiamo cominciato per dare voce a qualche storia
un po’ rara e amata e sono diventati nove anni di appassionanti scoperte, di
incontri felici, di ricerche tenaci.
Uscire dal teatro è stata la prima decisione, non solo per
abitare posti stupendi, ma per raccontare le figure nei loro luoghi. Mastro
Titta, l’ultimo boia di Roma, nel teatro delle sue esecuzioni, a San Giorgio al
Velabro, Margherita Sarfatti, intellettuale e scrittrice, al Museo del
Genio, modello architettonico del progetto di “Terza Italia” da lei delineato,
Gadda soldato al Museo della Fanteria per riascoltare alcune sue lettere dal
fronte, Paolina Borghese e i suoi ricordi al Museo Napoleonico.
Quando il legame fra l’attore, la figura e il luogo si tesse
tutto poi è semplice, e abbiamo visto apparire poeti, boia, mistiche,
scrittrici, visionari, orefici, e con loro conventi, chiostri, parchi e
musei hanno socchiuso le porte e accolto antiche storie.
Questa è Roma: giudica con severità ma forte di una bellezza
invincibile e ancora misteriosa. A volte, camminando per le sue strade, si ha
l’impressione di cadere in un abisso: un antico muro ha una iscrizione, una
targa rivela un inatteso legame, un volto dipinto fa apparire una storia, un
museo racchiude una coincidenza entusiasmante.
La scommessa per Esplor/Azioni è di riuscire a fare un po’
di spazio, un po’ di silenzio, un po’ di buio e di invitare all’ascolto.
Quindi vi invitiamo. Innanzitutto il 14 settembre nel museo
romano di Hendrik Christian Andersen, che fu pittore, scultore e che si
appassionò all'idea utopistica di una grande "Città mondiale",
destinata ad essere la sede internazionale di un perenne laboratorio di arti,
scienze, filosofia e religione. È in questo luogo che quattro giovani
attori daranno nuovamente voce ad alcune belle figure che in questi anni
abbiamo scoperto e raccontato. Dopo qualche giorno, dal 25 al 27
settembre, il chiostro della Confraternita di San Giovanni Battista dei
Genovesi sarà la cornice ideale per ricevere Monsignor Della Casa, il raffinato
e potente prelato che fece carriera con i papi del cinquecento fino a diventare
arcivescovo di Benevento e Nunzio Apostolico a Venezia, e che fu l’autore del
più famoso Galateo della storia. Paolo Graziosi, diretto da Alfonso
Santagata, lo farà apparire nella sua intelligenza rinascimentale. Infine, dal
2 al 4 ottobre, l’Aranciera di Villa Borghese, che ospita la collezione di arte
moderna di Carlo Bilotti, sarà il luogo dove ricorderemo Irene Brin, che nella
galleria che aveva aperto con il marito Gaspero del Corso a via Sistina fu un
punto di riferimento per l’arte di avanguardia del dopoguerra. Clara Galante ci
farà scoprire i suoi deliziosi precetti di comportamento, materia nella quale
la Brin fu indiscussa maestra sotto lo scherzoso pseudonimo di Contessa Clara.
L’arte del ben vivere, che è una sapiente quanto semplice
fonte di felicità per sé e per gli altri. Monsignor della Casa la raccomandava
a che non volesse “andar per le solitudini”, e a ragione.
Vi invitiamo a riscoprirla, perché dal Rinascimento ad oggi
i consigli non sono cambiati e forse neanche le disattenzioni.
Vi aspettiamo,
Gioia Costa
14
settembre 2008
Museo Hendrik
Christian Andersen
ECHI
con Cristina
Giannattasio, Fabio Mascagni,
Caroline Michel, Carole Ventura
Un piccolo gruppo di
giovani attori italiani e francesi darà voce e vita alle figure evocate
nelle precedenti edizioni del festival Esplor/Azioni tra Arte e Teatro. Un
percorso di storie nel quale ricordare le bravate di Benvenuto Cellini, le
eccentricità della marchesa Casati Stampa, la generosità di Paolina Borghese,
le visioni di Santa Caterina da Genova, tutti convocati per una notte nella
stessa cornice: lo studio di Hendrik Andersen.
Echi è una maniera per scoprire quattro
giovani attori e per ascoltare nuove voci che saranno offerte a parole antiche.
Ecco il benvenuto per il festival, un’occasione per aprirsi ai giovani, per
ritrovare figure di qualche anno fa o lasciarsi sorprendere da scoperte
che speriamo saranno piacevoli.
IL MUSEO HENDRIK CHRISTIAN ANDERSEN è un luogo
particolarissimo e affascinante. Da abitazione-studio dell’artista
norvegese-americano, che qui trascorse gli ultimi quindici anni della sua vita,
è attualmente un museo statale alle dipendenze della Soprintendenza alla
Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea.
Hendrik Christian Andersen si era
qui trasferito nel 1924 dalla casa d’affitto in piazza del Popolo dove aveva
abitato dal 1907, convogliando nella nuova palazzina in stile neo-rinascimento da
lui stesso fatta costruire su suo disegno anche l’intero complesso delle opere
cui fino ad allora aveva dato forma nel suo studio alla Passeggiata di Ripetta.
L’apertura del Museo
nel 1999 ha
riportato l’attenzione non solo su di un luogo ormai da lungo tempo
dimenticato, ma anche su una singolare pagina della vita culturale ed artistica
della Roma tra fine Otto e primi decenni del Novecento con profondi
addentellati negli Stati Uniti d’America dove Hendrik Andersen, nato a Bergen
in Norvegia nel 1872, era emigrato ancora bambino e aveva maturato la sua
vocazione di artista. Nel 1894 era approdato in Europa per l’imprescindibile
viaggio di formazione e nel 1897 si era stabilito a Roma dove, soggiogato dalla
grandiosità classica, altrettanto grandiosamente aveva iniziato a immaginare le
sue creazioni. Tralasciate le piccole sculture di raffinato gusto
neo-quattrocentesco e i busti-ritratto, si fece architetto e urbanista
concentrandosi su di un utopico progetto di “Città Mondiale”, fatto di
monumentali palazzi beaux-arts, fontane allegoriche, stadi sportivi,
torri, emicicli, giardini, viali, musei…L’ architetto francese Ernest Hébrard
approntava su sua indicazione disegni su disegni raccolti nel volume Creation
of a World Centre of Communication (1913), attraverso il quale Andersen
intendeva diffondere nel mondo la sua ingenua ideologia universalista e
pacifista. Mentre la realizzazione del progetto rimaneva sulla carta, le
sculture che in forme classicheggianti dovevano visualizzarne la simbologia (La
“Fontana della Vita”, “La Gioia
di vivere”, “La Fratellanza”,
“Il progresso dell’Umanità”…) crescevano in numero e dimensione
sovraffollandosi negli spazi del suo atelier. E Henry James, con il quale
Andersen intrattenne stretti rapporti di amicizia fin dal 1899 quando si erano
conosciuti a Roma, manifestava nelle sue lettere accenti di sgomento di fronte
a quel proliferare di aggregazioni colossali lontane da qualsiasi immediata
forma di vita reale.
Alla fine della sua
vita nel 1940, Andersen lasciò erede lo Stato italiano di tutto quanto aveva
realizzato: sculture, dipinti, disegni, la casa intera. Liberato dalla polvere
del tempo e dai giudizi o pregiudizi del gusto, questo complesso esercita oggi,
ricollocato col giusto distacco critico nella sua ormai esaurita storicità, il
fascino oggettivo di una irripetibile e straordinaria esperienza individuale.
Elena di Majo
Direttore Museo Hendrik Christian Andersen
25 – 27 settembre - Confraternita di
San Giovanni Battista dei Genovesi
L’ALTRO dedicato a Monsignor della Casa
con Paolo Graziosi, e con Claudio
D’Agostino
a cura di Alfonso Santagata, Paolo Graziosi e Gioia Costa
in collaborazione
con Benevento Città Spettacolo
In tempi così rozzi e
sgraziati come i nostri, voler ammannire al pubblico le squisitezze di un
Galateo di cinquecento anni fa, potrebbe sembrare una provocazione.. .ma forse
anche oggi scoprire che la buona educazione di una volta, porta con tanto
spirito e con tanta ironia, potrebbe invece essere una piacevole sorpresa..
.naturalmente però solo per pochi intenditori.
Paolo
Graziosi
“A chiunque voglia vivere nelle città e
tra gli uomini, e non per le solitudini o nei romitori …”
Monsignor della Casa
Nella società feudale, quando i cavalieri che sapevano maneggiare
le armi e andare gagliardamente a cavallo si ritrovavano dopo le battaglie e i
tornei, felici di essere ancora insieme e vivi, il mangiare nello stesso
piatto, con lo stesso cucchiaio, l’intingere il pane nelle vivande del vicino,
erano gesti che rinsaldavano e accentuavano i vincoli di fratellanza. La
voracità e l’aggressività erano i segni distintivi del guerriero valoroso e
vincitore; ma certo che nell’epoca successiva, in cui le corti degli Este e dei
Gonzaga gareggiavano in sfarzo e raffinatezze, in cui vestiti e mantelli
sfavillavano di gemme vere, in cui Cellini raggiunse nell’oreficeria quei
vertici mai più raggiunti, questi modi dovettero sembrare insopportabili e
furono disapprovati senza esitazioni. Ecco il fiorire di una serie di manuali
di buona creanza, dei quali il Galateo è certamente il più noto.
Monsignor della Casa,
amante della bella vita, aveva frequentato curie e corti e conosceva bene le
arti per avere successo e far carriera in quell’epoca così complessa che è stato
il Rinascimento. Era, anche, un fine letterato: trattati in latino, versetti
comici e licenziosi; ma il suo nome è legato a questo arguto libro nel quale,
fingendo di essere il precettore di un giovanetto di nobile famiglia, elabora
un codice di comportamento, di etica e di estetica indispensabile per chi
voglia vivere in mezzo agli altri e non “per le solitudini”.
Non solo non sputarsi sulle dita, non portare lo stuzzicadenti
legato al collo, non soffiarsi il naso con il tovagliolo quindi, ma anche dettami
validi ancora oggi; e forse non bisogna meravigliarsi degli strani costumi dei
quali si parla se a distanza di cinquecento anni sarebbe ancora opportuno un
galateo che insegnasse a non raccontare i propri sogni, che sono “specialmente
sciocchi, come l’uomo li fa in genere”, a non aver riguardo solo a se stessi e
al proprio agio, a non contraddire e correggere gli altri, a non parlare dei
propri bambini, dicendo quanto siano belli e buoni, “che nessuno può badare a
siffatte sciocchezze”.
E Paolo Graziosi, guidato dall’occhio visionario di Alfonso
Santagata, si
ferma qui nei suoi ragionamenti, non certo perché abbia finito, ma perché teme
che alcuni osserveranno che ne ha già dette troppe.
San Giovanni Battista dei Genovesi Il
chiostro come noi oggi siamo abituati a vederlo, un grande cortile quadrato con
portici, nasce nel medioevo: però ha origini antichissime. Già i templi greci e
romani avevano all’interno un grande spazio scoperto circondato da portici;
nelle basiliche paleocristiane si ritrovano costruzioni simili, con al centro
il puteus per le abluzioni sacre, come il pozzo che vediamo qui
stasera, e anche nei monasteri orientali fin dal V secolo si trova un
cortile porticato da tre lati.
Questa struttura architettonica così suggestiva era l’unica fonte
di luce dei monasteri , che sono chiusi in tutte le loro parti che danno verso
il fuori, e rispondeva alle necessità di una vita di raccoglimento: è isolato
dall’esterno, permette di stare all’aria aperta senza uscire dalla comunità e
di passeggiare leggendo i testi sacri al riparo dalle intemperie.
Se ci guardiamo intorno, in questo che è il più bel chiostro del
quattrocento romano, non ci si meraviglia che la vita monastica abbia
avuto nel medioevo tanti accoliti…
Nove le arcate per ogni lato, numero simbolo di amore divino in
quanto quadrato del tre che è la Trinità, e numero simbolo del sacrificio di
Cristo; trentatré i metri di lunghezza da angolo ad angolo, come gli anni di
Gesù e come gli anni del regno di Davide: e al centro, oltre al pozzo
attribuito a Baccio Pontelli, un giardino di ortensie, lantane, rose, cedrine,
che non è frequente negli altri, pur bellissimi, chiostri romani, che hanno
quasi sempre un cortile pavimentato.
Si è sempre chiamato “Il Chiostro dei Melangoli”; e i melangoli ci
sono ancora. Sono quei quattro piccoli alberi ai quattro lati del giardino, che
somigliano a degli aranci: infatti i melangoli sono una varietà ormai quasi
introvabile di arancio amaro, che dà frutti con i quali si fa un’ottima
composta.
Ma questa non è l’unica curiosità botanica del giardino. Sulla
quinta colonna partendo da destra si trova un’iscrizione in latino che ci
racconta che il monaco Lanza da Savona piantò qui. nel 1588, la prima palma
arrivata in Italia.
I segni che il tempo ha lasciato nel chiostro sono molti altri: un
pilastro d’angolo che ricorda la demolizione del piccolo camposanto, quattro
capitelli seicenteschi, un maestoso stemma della famiglia genovese dei
Pittaluga. una colonnina medioevale dall’elegante profilo. A voi il piacere di
trovarli.
2 – 4 ottobre, Museo Carlo
Bilotti – Aranciera di Villa Borghese
A B C dedicato a Irene Brin
con Clara Galante
L' A B C....
cosa è questo richiamo rassicurante? C'è da imparare qualcosa? Se è così, se
questa è la sfida, ci sono anch' io, mi sono detta.
L' innata curiosità,
la mia sete di comunicazione, hanno trovato in questo “dizionario” la
bellezza di uno stile interiore, le maniere buone di una lingua che non parla
l'ipocrisia, l'etichetta, la finzione, ma l'ironia, il piacere di dare
piacere.
Irene Brin ci prende
per mano e ci accompagna nel segreto di certi gesti, i pensieri di
chi, attraverso il cuore, è diventato -intelligente completamente -.
Mi sono chiesta; chi
è questa signora dai tanto nomi, Maria, Irene, Clara... ma che importa,
“Cosa è un nome? quella che noi chiamiamo rosa, anche con un altro nome avrebbe
lo stesso suo soave profumo.” (Sheakespeare ha sempre ragione)
Clara Galante
Contraddicendo, temo, molte figure
geometriche, l’amicizia è insieme la base e il vertice di ogni successo.
Irene Brin
Nella Roma che va dal
dopoguerra agli anni ’60, la Roma
dell’aperitivo a via Condotti dove si incontravano Ennio Flaiano, Vittorio
Gorresio, Diego Calcagno, la Roma
nella quale la libreria Rossetti di via Veneto era un punto di ritrovo per gli
intellettuali, non solo maîtres à penser di allora, ma anche maîtres
à s’habiller, si muoveva briosa ed elegante Irene Brin, fra la galleria
d’arte che aveva aperto con suo marito Gaspero del Corso a via Sistina e i
risotti azzurri in forma di cigno, serviti nel suo appartamento romano di
Palazzo Torlonia, che, come racconta Lietta Tornabuoni, erano un test per
conoscere meglio gli ospiti: arma infallibile per liberarsi dalle persone
sgradite, che non tornavano più, scoraggiate dal mistero, e condanna per chi
voleva far vedere di essere abituato a tutto fingendo di non sorprendersi. E
con la sua prosa intelligente traccia un dizionario: non per il bel mondo, dice
la Brin, ma per il buon
mondo, che è molto lontano dagli abiti “firmati” e dalle ostentazioni dei nuovi
galatei: Irene Brin conosce bene una tradizione di garbo e cortesia, di “buone
maniere, buona nascita, buone tradizioni” che contribuiscono a rendere la vita
più piacevole, certo; ma soprattutto più umana. La scelta di ambientare lo
spettacolo all’interno del Museo Bilotti nasce dall’ideale specchio che questo
può rappresentare con la loro galleria, che fu un punto di riferimento per
l’arte d’avanguardia del dopoguerra, e fu persino chiusa dalla polizia per
“oscenità” per aver ospitato una mostra di disegni di Grosz. Irene Brin e
Gaspero del Corso furono condannati a due mesi di prigione, poi fortunatamente
annullati in appello.
L'Aranciera di Villa Borghese, ora sede del Museo Carlo
Bilotti, ha una storia secolare e di grande interesse, dovuta alle numerose
trasformazioni che nel corso del tempo ne hanno modificato in misura
sostanziale sia l'assetto sia le funzioni. Già presente nell'area prima della
realizzazione della Villa Borghese da parte del cardinale Scipione (1576-1633),
quale residenza di un certo prestigio della nobile famiglia dei Ceuli,
l'edificio conobbe i suoi fasti maggiori nell'ultimo quarto del Settecento con
Marcantonio IV Borghese (1730-1800). Egli lo fece ampliare e ridecorare, a
opera di una folta schiera di artisti di fama, facendone il perno del nuovo
assetto dell'area, caratterizzato dalla presenza dello spettacolare Giardino
del Lago. Anche la denominazione venne mutata e il Casino fu detto "dei Giuochi
d'Acqua", per la presenza di numerose fontane che con i loro getti
divertivano e stupivano i visitatori. Per alcuni anni fu cornice spettacolare
di eventi e di feste mondane ampiamente celebrati nelle cronache del
tempo. Si trattava, però, di un periodo glorioso destinato a breve vita:
i disastrosi cannoneggiamenti subiti durante gli scontri che portarono alla
caduta della Repubblica Romana nel 1849 lo ridussero in ruderi. Ricostruito
molto liberamente e con poche tracce del ricchissimo apparato decorativo, fu
adibito ad Aranciera, cioè al ricovero invernale dei vasi di agrumi. Unico
elemento originario superstite era il bellissimo ninfeo, costruito al tempo del
cardinale Scipione, una grande nicchia rivestita di tartari e conchiglie a
formare elaborati disegni, tra i quali gli emblemi araldici dei Borghese (drago
ed aquila), associati con le rose degli Orsini, famiglia con la quale erano
imparentati. Il ninfeo si trovava in origine nel grande cortile centrale che,
nella ricostruzione, è stato chiuso. Nel 1903, all'epoca del passaggio di Villa
Borghese al Comune di Roma, era sede di uffici e abitazioni; ospitò quindi un
istituto religioso e successivamente, dal 1982, uffici comunali.
L'intervento realizzato per trasformare l'Aranciera in
Museo ha permesso di rendere di nuovo leggibile quanto restava della sua
struttura originaria, recuperando alcuni ambienti occultati da tempo e
soprattutto il seicentesco ninfeo, e ha fornito l'occasione per ricostruire
compiutamente, per la prima volta, la storia dell'edificio.
Il Museo comprende un settore in esposizione permanente,
la donazione del collezionista italo americano Carlo Bilotti, con 23 opere di Giorgio
de Chirico, Gino Severini, Andy Warhol, Giacomo Manzù, Larry Rivers, mentre un
settore è destinato alle mostre temporanee su temi connessi.
Alberta
Campitelli
Dirigente U.O. Ville e Parchi Storici
direzione artistica Gioia
Costa
organizzazione Associazione Culturale
Esplor/Azioni
coordinamento Elena Gui
direzione tecnica Giuseppe Filipponio
ufficio stampa Patrizia Bracci con Giusi
Alessio, Zètema progetto cultura
progetto grafico Veronica Ceccarelli,
Zètema progetto cultura
stampa TEF s.a.s. – Roma
Esplor/Azioni
ringrazia per la preziosa collaborazione e per la disponibilità
Guido Strazza per la realizzazione
del disegno originale
Elena Di Majo Soprintendenza
Speciale alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Direttore
Museo Hendrik Christian Andersen
Alberto Urbinati Governatore
Secolare della Confraternita di San Giovanni Battista dei Genovesi
Alberto
Broccoli Sovraintendente ai Beni Culturali del Comune di Roma
Alberta
Campitelli Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma Dirigente
U.O. Ville e Parchi Storici
Ilma Reho Sovraintendenza ai
Beni Culturali del Comune di Roma, Responsabile del Museo Carlo Bilotti.
Aranciera di Villa Borghese
Esplor/Azioni
ringrazia inoltre
Benedetta Acciari, Claudio
Affinito, Sofia
Angeloni, Roberta Biglino, Carla
Calisse, Federico
Caniati, Marco Carniti, Raffaele De Lio,
Claudio Di Biagio, Sabrina Filacchioni, Luisa Fontana, Monica Guadagnini,
Francesco Gui, Achille Le Pera, Rina
Mammoli, Jean-Paul
Manganaro, Mario Mazzantini, Giovanna Mazzarella, Luigi
Montefusco, Enzo Moscato, Paola
Pascucci, Ludovico Pratesi, Massimo Rendina, Luca Ronconi, Silvia
Rossi, Elga Schlubach, Francesca Torresi.
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