Giselda Volodi | La ruggine e l’oro dedicato a Caterina
Fieschi Adorno, a cura di Gioia Costa
Mistica, colta, nobile, Caterina Fieschi Adorno ha influito in
maniera profonda sulla sua epoca anticipando l’esigenza della Riforma,
predicando la carità, denunciando la vendita delle indulgenze e conversando con
i massimi teologi e intellettuali del Quattrocento. E grazie a Giselda Volodi
può oggi raccontare i suoi incontri con Savonarola, con Pico della Mirandola o
con Martin Lutero, e narrare le novità che il suo concittadino Cristoforo
Colombo stava svelando alla Repubblica di Genova, arrivando dalle Americhe con
metalli lucenti, cioccolati inebrianti e animali e spezie e semi di piante
sconosciute. Ma la Fieschi parla anche della peste che colpì Genova, e
dell’arrivo della sifilide, giunta in Italia con la discesa di Carlo VIII e del
suo seguito di 800 meretrici e di 56.000 soldati in armi che terrorizzavano
nobili e potenti. La visione della malattia, del terrore e delle diseguaglianze
sociali, sempre accentuate dai flagelli, la indussero a scegliere: dapprima si
dedicò ai malati, poi iniziò a scrivere, e ne nacque il suo Trattato del
Purgatorio nel quale emerge un pensiero teologico di grande rigore e in
anticipo sui suoi tempi.
Milena Vukotic, con Ludovica Scoppola al flauto | Paolina Borghese, La Reine des
Colifichets, la regina dei ninnoli
Non sono stati indulgenti con Paolina Borghese, gli storici: e lo
scandalo che nacque intorno alla statua di lei in veste di Venere, fatta dal
Canova, non contribuì a migliorare le cose. Ma a ben guardare i peccati di
questa bellissima donna furono veniali: amava i bei vestiti, le feste, le
acconciature e il titolo di principessa romana, è vero; è anche vero che ebbe
degli amanti: ma fu anche l’unica, nella sua tumultuosa famiglia, a essere
vicina a Napoleone nei giorni dell’esilio all’Elba, ad aiutarlo nella sua fuga
dall’isola (in che modo? dando un ricevimento in maniera che il rumore della
festa coprisse quello dell’attracco delle barche: Paolina era sempre Paolina),
e a preoccuparsi per lui nel momento della disgrazia fino al punto di dargli i
suoi tato amati diamanti da vendere se avesse avuto bisogno di denari. Rendiamo
omaggio ad una bella e sfortunata protagonista del suo tempo, morta così
giovane, ricordandone non solo i capricci e gli amori, ma anche la generosità,
la cortesia e la benevolenza di cui fu prodiga con tutti.
Paolo Graziosi, con Claudio D’Agostino | L’unico - dedicato a Monsignor
Della Casa
a cura di Alfonso Santagata,
Paolo Graziosi e Gioia Costa
Nella società feudale,
quando i cavalieri che sapevano maneggiare le armi e andare gagliardamente a
cavallo si ritrovavano dopo le battaglie e i tornei, felici di essere ancora
insieme e vivi, il mangiare nello stesso piatto, con lo stesso cucchiaio,
l’intingere il pane nelle vivande del vicino, erano gesti che rinsaldavano e
accentuavano i vincoli di fratellanza. Invece, nel secolo in cui le corti degli
Este e dei Gonzaga gareggiavano in sfarzo e in cui vestiti e mantelli
sfavillavano di gemme vere, questi modi dovettero sembrare insopportabili. Ed
ecco il fiorire i manuali di buona creanza, dei quali il Galateo è certamente
il più noto. Monsignor della Casa, amante della bella vita, era, anche, un fine
letterato: trattati in latino, versetti comici e anche licenziosi; ma il suo
nome è legato a questo arguto libretto nel quale, fingendo di essere il
precettore di un giovane di nobile famiglia, elabora un codice di
comportamento, di etica e di estetica indispensabile per chi voglia vivere in
mezzo agli altri e non “per le solitudini”.
Valerio Binasco | Tutto ciò avendo i polsi legati dalle lettere dal
carcere di Antonio Gramsci
Via Morgagni 25, a Roma. È qui che Gramsci venne arrestato l’8
novembre del 1926, in una stanza che aveva preso in affitto presso la famiglia
Passarge. Dal carcere non uscirà mai più: il pubblico ministero disse al
processo: “Per venti anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare” e
la condanna fu di venti anni, quattro mesi e cinque giorni, ma non impedì certo
a quel cervello di funzionare. Dal lungo cammino attraverso le varie prigioni
uscirono infatti trentaquattro grossi quaderni, ogni foglio con il timbro del
penitenziario e la firma del direttore, tremila pagine di appunti, note e saggi
“sì che il tempo non passi perduto” che, dirà Togliatti in un discorso che
tenne a Napoli il 29 aprile 1945, nei giorni della Liberazione, “a grande
fatica riuscimmo nel momento della morte di Gramsci a strappare al carcere”. E
le lettere: quasi tutte ai familiari: alla moglie russa Julca, alla cognata
Tatiana, alla madre, al fratello Carlo, alle sorelle e ai figli Delio e
Giuliano, il secondo dei quali Gramsci non conoscerà mai. Sebbene anche queste
fossero sottoposte alla censura del carcere e a quella dello stesso Gramsci, al
quale è difficile vincere il riserbo di descrivere i suoi sentimenti sapendo
che occhi estranei leggeranno quelle righe, troviamo in una lettera a Tatiana
del dicembre del 1926: “Scrivere e ricevere lettere è diventato per me uno dei
momenti più intensi di vita”. I suoi giudici non riuscirono a fargli scontare
tutta la pena. Dopo poco più di dieci anni dall’arresto, Gramsci moriva, alla
clinica Quisisana di Roma, assistito dalla cognata Tatiana. Le sue ceneri, chiuse
in un’urna, sono inumate nel cimitero cosiddetto “degli Inglesi”, a Roma.
Iaia Forte | Roma Doma, dedicato a Elsa Morante
Nella Storia di Elsa Morante si riflettono momenti etici e
politici che sono osservati da Ida e dal suo piccolo Useppe. Due figure che
protagoniste della storia non saranno mai e mai sono state, abituate per
destino a vivere fra timori, ristrettezze, piccole soddisfazioni e continue
rinunce. In questa scrittura si delineano caratteri e con loro viene raccontata
la nascita di un ceto, di un universo del lavoro, di una rete di relazioni
segnate dalla guerra e dal fascismo. Iaia Forte ha creato un percorso di forte
suggestione fra le parole e le immagini della Morante, che danno nuovi contorni
allo sguardo sulla trasformazione della società, e più in generale sul potere
destinante del ceto e del carattere.
Maria Paiato | Non ho imparato nulla, da Scottature di
Dolores Prato
Dolores Prato ha scritto molto, pubblicato poco e tardi. Quinta
figlia illegittima e rifiutata di una buona famiglia, è cresciuta fra uno zio
prete colto e molto amato e un collegio. Ebrea, con le leggi razziali ha abbandonato
l'insegnamento collaborando da allora con le pagine culturali dei quotidiani.
Nel 1965 è stato pubblicato Scottature, da cui lo spettacolo è tratto, mentre
il resto degli scritti ha atteso anni nelle scatole, dove lei ha raccolto
ricordi ed emozioni. Quando uscì il suo capolavoro, Giù la piazza non c'è
nessuno, Lalla Romano scrisse nel 1998: "È tale la mia ammirazione per il
libro che, proprio per questo, temo la corriva facilità dei nostri
giorni". L'incontro con una scrittura può essere intenso come il profumo
di una rosa in un crepuscolo di compieta, come racconta la Prato con struggente
bellezza grazie a Maria Paiato.
Ennio Fantastichini | Lo specchietto e il
diamante
liberamente tratto
dalla Vita di Benvenuto Cellini, a cura di Carla Calisse
Un personaggio d’eccezione, il temerario creatore di
bellezza Benvenuto Cellini, riappare per raccontare la Roma del Rinascimento,
quando i diavoli apparivano al Colosseo e Michelangelo e Cellini cenavano in allegria,
quando i geni erano geni a tutto tondo (scultori, orafi, poeti) e il Papa non
esitava a mettersi in salvo dal sacco di Roma con i gioielli cuciti nel
corsetto. Benvenuto non ha titubanze, per esaltare l’eccellenza della sua
figura, nel modificare gli avvenimenti tutti in suo favore: ma malgrado questo,
o forse proprio per questo, è vivissimo il ritratto di un uomo senza pari che
vive in un’epoca straordinaria, che esce da quell’impareggiabile libro di
avventure che è la Vita di Benvenuto Cellini. E per dar vita a queste pagine
appassionanti un interprete perfetto: Ennio Fantastichini. Con la sua veemenza
e la sua intelligenza delle parole, racconta un Rinascimento modernissimo e
appassionato che sembra si possa rivivere ancora uscendo in via Giulia dopo
l’incontro fra questi due artisti della passione.
Clara Galante | A B C Dedicato a Irene Brin
Nella Roma che va dal
primo dopoguerra agli anni ’60, la Roma dell’aperitivo a via Condotti dove si
incontravano Ennio Flaiano, Vittorio Gorresio, Diego Calcagno, la Roma nella
quale la libreria Rossetti di via Veneto era un punto di ritrovo per gli
intellettuali, non solo maîtres à penser di allora, ma
anche maîtres à s’habiller, si muoveva briosa ed elegante
Irene Brin, fra la galleria d’arte che aveva aperto con suo marito Gaspero Del
Corso a via Sistina e i risotti azzurri a forma di cigno, serviti nel suo
appartamento romano di Palazzo Torlonia, che, come racconta Lietta Tornabuoni,
erano un test per conoscere meglio gli ospiti: arma infallibile per liberarsi
delle persone sgradite, che non tornavano più, scoraggiate dal mistero, e
condanna per chi voleva far vedere di essere abituato a tutto fingendo di non
sorprendersi. E con la sua prosa intelligente traccia un dizionario: non
per il bel mondo, dice la Brin, ma per il buon mondo, che è molto lontano dagli
abiti “firmati” e dalle ostentazioni dei nuovi galatei: Irene Brin conosce bene
una tradizione di garbo e cortesia, di “buone maniere”, buona nascita, buone
tradizioni” che contribuiscono a rendere la vita più piacevole, certo; ma
soprattutto più umana.
Massimo Verdastro | Nel vostro fiato son le mie parole, dedicato a
Michelangelo Buonarroti
Son canti d'amore, le rime di Michelangelo, di sorprendente
bellezza stilistica. Benché nel '500 il sonetto fosse di rigore, affiora nella
sua lirica un'inventiva simile a quella che ha segnato i suoi marmi. Così è
anche per le lettere, nelle quali si riconosce la mano di colui che scrisse su
un palazzo romano: "Nil difficile volenti". La fede nella volontà,
unita al carattere appassionato e ombroso, temerario e indomito, allo sprezzo,
e alla nobiltà del cuore sono tratti che affiorano nei marmi come nelle rime e
nelle lettere che Michelangelo scriveva all'amato Tommaso de’ Cavalieri e alla
poetessa Vittoria Colonna, alla quale lo legò un vincolo spirituale solido e
lungo. Un maestro della forma che governa la pietra quanto la pagina si fa
scoprire grazie a Massimo Verdastro.
Sonia Bergamasco | Giorni in bianco, dedicato a Ingeborg
Bachmann
Sonia Bergamasco ha colto nel Trentesimo anno il motivo portante
di tutta l'opera della Bachmann: la ricerca di assoluto, l'inadeguatezza a
scendere a patti con il mondo, il dolore della costrizione imposto dalle regole
sociali. Dal suo spettacolo emerge un dilemma interiore, che lei ha composto in
una immagine visivamente elegante. Grandi cartoni ospitano le parole
dell'autrice, e nell'abito bianco per cinquanta minuti lei si fa tramite di un
passaggio dall'innocenza alla consapevolezza; è un risveglio, quello che si
porge all'ascolto. Un risveglio nel quale l'universo del sogno deve esser
abbandonato per sempre. Così, l'attesa del compleanno, il fluire delle
stagioni, le ricordanze intime e le riflessioni ad alta voce.
Tommaso
Ragno | Mastro Titta passa ponte
Giovan Battista Bugatti è stato il boia dello Stato Pontificio e,
in meno di 70 anni, dal 1786 al 1864, ha eseguito di sua mano 516 condanne.
Questa pagina di storia ricca di sguardi illustri, di commenti acuti, di spunti
di costume, di usanze e dimenticate consuetudini dipinge una galleria umana
nella quale Titta troneggia, protagonista assoluto. Ne emerge lo spaccato di
un'epoca e la valutazione delle emozioni o dei delitti: il posto dell'onore,
della morale, della famiglia, ma anche della passione, della giustizia, del
pettegolezzo, della res publica e della condanna, dell'ordine e della colpa
rappresentano un documento di grande fascino, tutt'altro che superato, e una
riflessione sulla pena di morte e sul tema della giustizia.
Giuliana Lojodice | Perseverando arrivi, dedicato a Margherita Sarfatti
Una signora della cultura italiana attenta ai mutamenti sociali,
al cambiar delle forme e al valore delle parole. Margherita Sarfatti ha
attraversato e contribuito a scrivere una pagina capitale della storia
italiana. Giornalista, critica d'arte, intellettuale e scrittrice, è stata lei
a coniare il nome del gruppo "Novecento", lei a individuare
nell'educazione la chiave politica della crescita italiana, attribuendo alle
élites intellettuali il compito di diffondere, spiegare e dar forma al modello
della "Terza Italia", che fu poi utilizzato da Mussolini, allora
direttore dell'Avanti, come base teorica del futuro fascismo. Giuliana
Lojodice, in Perseverando arrivi, la accompagna nei ricordi degli ultimi anni,
dopo l'esilio in Sud America e il ritorno in Italia nel 1947.
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