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 Gioia Costa

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tra arte e teatro
19 settembre - 14 ottobre 2005< />


Esplor/Azioni è alla sua sesta edizione: per me è un piacere presentare al pubblico una manifestazione così particolare, che restituisce ai romani luoghi nascosti e sorprendenti con il valore aggiunto di artisti chiamati a interpretare ed esplorare il magico incontro tra arte e teatro.

Per pochi giorni i segreti romani si danno convegno: una basilica ospita l’arte della giustizia, un museo militare apre le porte ad uno scrittore, un orto monastico si dischiude alla letteratura più raffinata. E così via, in una serie di appuntamenti che ci fanno ascoltare le parole custodite negli antichi palazzi e nei giardini segreti: un aspetto di Roma che conserva il suo fascino misterioso, affiancando la città di ieri alla metropoli di oggi.

Ringrazio gli artisti per aver reso possibile questo gioco d’incastri tra le arti, ed auguro ai romani di vivere appieno questa magia.

Gianni Borgna

Pensare un programma è dare forma a un'intenzione, ma Esplor/Azioni è per sua natura una forma aperta: in sei anni, come un’antica tessitura, ciascun appuntamento è stato l’inizio di una storia.

Il Comune di Roma ha confermato quest'anno il suo sostegno e la Fondazione Silvano Toti si è avvicinata, legando il suo nome e il suo prestigio a Esplor/Azioni. Senza il loro sostegno e la loro fiducia queste creazioni non sarebbero state possibili, e a loro va il nostro più vivo ringraziamento.

Gioia Costa


CALENDARIO

19 - 23 settembre ore 21,00
Mastro Titta passa ponte
con Tommaso Ragno
di Gioia Costa
liberamente ispirato alle memorie di Giovan Battista Bugatti
Basilica di San Giorgio in Velabro
prima assoluta

26 - 30 settembre ore 21,00
Non ho imparato nulla
liberamente tratto da Scottature di Dolores Prato
con Maria Paiato
Orto Monastico di Santa Croce in Gerusalemme
prima assoluta

5 - 8 ottobre ore 21,00
L'Ingegner Gadda va alla guerra
ideato e interpretato da Fabrizio Gifuni
light designer Stefano Di Leo
liberamente tratto dall'opera di Carlo Emilio Gadda
Museo Storico della Fanteria
prima assoluta

12-14 ottobre ore 21,00
Compagnia teatrale Enzo Moscato
Sangue e Bellezza
di e con Enzo Moscato
costumi di Tata Barbalato
Palazzo dei Conservatori
piazza del Campidoglio
prima assoluta



19 - 23 settembre – ore 21,00
Mastro Titta passa ponte
con Tommaso Ragno
di Gioia Costa
liberamente ispirato alle memorie di Giovan Battista Bugatti
Basilica di San Giorgio in Velabro
prima assoluta

Il boia è uno che viene minacciato di morte affinché uccida.
Il boia può uccidere soltanto coloro che deve uccidere. Non può opporsi a questo comando.
Uccidere è una faccenda pulita, per nulla sinistra. Sa che l'esecuzione non provocherà in lui alcun mutamento. Non prova il raccapriccio che suscita negli altri. Passa liscio attraverso il comando, per così dire. È una situazione mostruosa, se si riflette sulla genuina natura del comando. Specie quel comando che ha per oggetto la morte, perché è quello che lascia minori tracce in chi lo riceve. Mastro Titta nelle sue memorie ci racconta, non senza soddisfazione, le vicende che porteranno le future vittime sul suo tetro palcoscenico e il manifesto piacere che ricavava dall'attività di esecutore di condanne nelle pubbliche piazze, con tanto di folla applaudente.
Come un attore consapevole dell'effetto che ha sul suo pubblico, recitando e rappresentandosi come gran personaggio da melodramma, Titta assume il ruolo di strumento della divina giustizia, confidando con calma nel comando. È uno sporco lavoro?... ma qualcuno doveva pur farlo.

Ringrazio Gioia Costa di avermi fatto passare ponte in compagnia di uno dei più singolari personaggi prodotti dalla dis/umana giustizia.

Tommaso Ragno



Giovan Battista Bugatti è stato il boia dello Stato Pontificio e, in meno di 70 anni, dal 1786 al 1864, ha eseguito di sua mano 516 condanne. I romani non amano le gerarchie, e il Maestro di Giustizia è presto diventato Mastro Titta, quasi un vezzeggiativo con il quale egli è poi stato da tutti conosciuto, tanto da trasformare il suo nome nel sinonimo di boia. Bisogna ammettere che lo spargimento di sangue ai piedi del patibolo e le barbare scommesse sul numero di fiotti che sgorgavano dai corpi decapitati facevano inorridire i viaggiatori di passaggio a Roma: ne sono prova gli scritti di Dickens e di Lord Byron. Ciò nonostante, la perizia di Mastro Titta nell'eseguire le pene era diventata proverbiale, tanto quanto la sua abitudine di confessarsi prima di "passar ponte", espressione che in quegli anni a Roma preannunciava un'esecuzione.

Il Bugatti ha giustiziato briganti senza scrupolo dal coraggio leggendario, furfanti pavidi invischiati nella meschinità, fiere e indomite donne di parola, ma ha anche incontrato amori bagnati nel sangue, che per vie diverse erano in relazione con farabutti d'ogni sorta, cospiratori, birri, osti e ruffiane, loschi compari e ambiziosi domestici. Una galleria umana nella quale Titta troneggia, protagonista assoluto; e la folla che accompagnava ogni esecuzione era il suo pubblico. Dalle annotazioni sue o dei contemporanei emerge lo spaccato di un'epoca e la valutazione delle emozioni o dei delitti: il posto dell'onore, della morale, della famiglia, ma anche della passione, della giustizia, del pettegolezzo, della res publica e della condanna, dell'ordine e della colpa rappresentano un documento di grande fascino, tutt'altro che superato.

Comunque, mai Mastro Titta ha considerato se stesso un assassino o un cattivo. Sua opera era quella di sanare la società da ciò che di malato e contagioso poteva corromperla, e quindi il suo mestiere era "un male necessario", perché asportava il germe prima che si propagasse. Questa, almeno, era la sua visione. Non così lontana da quella dei nostri giorni, e dalle 1511 condanne a morte emesse cinque anni fa in Cina, delle quali 1000 sono state effettivamente eseguite. O dalla semplice constatazione che, nell'autunno del 2005, 72 Paesi ricorrono tuttora alla pena di morte.
g.c.



26 - 30 settembre, ore 21,00
Non ho imparato nulla
Liberamente tratto da Scottature di Dolores Prato
con Maria Paiato
Orto Monastico di Santa Croce in Gerusalemme
prima assoluta

Quando luglio apparecchia quelle giornate bollenti e tu stai con la macchina ad annusare il didietro di un'altra macchina tra migliaia di macchine che fanno lo stesso, quando i rumori di una Roma che non si vuole svuotare diventano un'unica antipatica voce che urla solo insulti, ecco che trovi un parcheggio e, a sfregio, lo paghi pure (o forse perché stai per entrare in una basilica e lo vuoi fare con la coscienza leggera)…e abbandoni in fretta quel forno a cinque porte ingaggiando una lotta col vestito che non si vuole staccare dalla pelle madida di sudore.
Voglio scappare dal mondo che scotta.
La scalinata, pochi passi ed ecco, tutto cambia, il mare di suoni si calma e si rinfresca; la mèta sta dopo un corridoio lungo, poi un altro e ancora uno; il silenzio è sempre più lucido e denso. Mi cattura una stanza dai legni scuri. I banchi sono preparati per la mensa. Tutto è così semplice, necessario, rispettoso… io…vorrei stare qui, sempre…
Abbandono il mio sogno, gli prometto di tornare e proseguo il cammino e arrivo dove vivrà la figurina vitale e incantata; nell'orto ma che è anche frutteto, ma che è anche giardino… e come somiglia questa figurina alle paffute albicocche acerbine, alle stupite margheritine avide di vita, all'edera che sta scavalcando il muro di cinta, e anche a quelle piantine che non interessano più a nessuno buttate là, arse dal sole, sfinite.
Ma la figurina vuole scappare nel mondo che scotta.
Il sopralluogo è finito, con gli occhi e l'anima pieni di quella fresca pace ritorno sui miei passi, guardo languida la stanza dai legni scuri e penso alla prossima vita, guardo con angoscia l'uscita, vedo la piazza assolata, la città disperata e penso alla figurina, a come è finita.

Maria Paiato


È un vero piacere presentare a Roma, nell'orto monastico dell'Abbazia di Santa Croce in Gerusalemme, questa grande scrittrice, che è arrivata ad Esplor/Azioni grazie a Jean-Paul Manganaro. Dolores Prato ha scritto molto, pubblicato poco e tardi. Era quinta figlia illegittima e rifiutata di una buona famiglia, cresciuta fra uno zio prete molto amato e scomparso in Argentina, dove era andato a cercarle una dote, e un collegio. Inoltre la Prato era ebrea e, con le leggi razziali, ha dovuto abbandonare l'insegnamento. Nel 1965 è stato pubblicato il suo breve racconto Scottature, mentre il resto degli scritti ha atteso anni nelle scatole, dove lei raccoglieva ricordi ed emozioni.

Il dolore della lingua è il dolore dell'appartenenza: nulla è più nudo della scrittura, e Dolores Prato trova la sua forza proprio al cuore del dolore dell'assenza della madre. Cresciuta fra il forte modello rappresentato da suo zio, figura colta e nobile di affetti e intelligenza, un collegio poco illuminato e una professione perduta con il fascismo, ha passato la vita a ricordare e a scrivere frammenti e schegge di memoria. Nelle scatole che lei riempiva di appunti si accumulavano brani che hanno poi trovato forma nelle collaborazioni alle pagine culturali dei diversi giornali e, solo molto più tardi, nei libri.

Quando, nel 1980, uscì Giù la piazza non c'è nessuno a lei parve irriconoscibile: curato da Natalia Ginzburg, era stato ridotto e corretto drasticamente, tanto che la Prato stilò subito un secondo dattiloscritto, unico da lei autorizzato. Nuova ferita in una scrittura della quale protagonista era la lingua, nuovo dolore di estraneità da se stessa. Le libertà della pagina di Dolores Prato somigliano alla dislocazione tematica delle sue scatole: pezzi di memoria che non seguivano una linea cronologica e non obbedivano a un ritmo esistente. Raccolti fino a molto tardi, erano frammenti che contenevano domande e visioni dalle quali era chiara l'altezza del suo guardare.

All'uscita della versione integrale, Lalla Romano si chiedeva nel 1998 se "nella miserabile omologazione odierna dei valori abbia forti possibilità d'incontro un'opera dotata di originalità come Giù la piazza non c'è nessuno di Dolores Prato. È tale la mia ammirazione per il libro che, proprio per questo, temo la corriva facilità dei nostri giorni". In questi tempi l'incontro con una scrittura può essere bruciante come l'intenso profumo di una rosa rossa, dimenticata nei capelli e condannata da severi occhi di religiose in un crepuscolo di compieta, come avvenne alla Prato che lo racconta in queste sere con struggente bellezza.
g.c.



5 - 8 ottobre ore 21,00
L'Ingegner Gadda va alla guerra
ideato e interpretato da Fabrizio Gifuni
disegno luci Stefano Di Leo
liberamente tratto dall'opera di Carlo Emilio Gadda
Museo Storico della Fanteria
prima assoluta

“La mia vita è inutile, è quella di un automa sopravvissuto a se stesso, che fa per inerzia cose materiali, senza amore né fede. Lavorerò mediocremente e farò alcune altre bestialità. Sarò ancora cattivo per debolezza, ancora egoista per stanchezza, e bruto per abulia, e finirò la mia torbida vita nell’antica e odiosa palude dell’indolenza che ha avvelenato il mio crescere mutando le possibilità dell’azione in vani, sterili sogni. Non noterò più nulla, poiché nulla di me è degno di ricordo anche davanti a me solo".

Tre mesi dopo il congedo definitivo dalla vita militare – arma di fanteria, sottotenente del V° Reggimento Alpini – Carlo Emilio Gadda terminava così i suoi diari di guerra e di prigionia.
L’esperienza tragica del primo conflitto mondiale, la cattura sull’Isonzo, la prigionia nei campi tedeschi, la morte del fratello Enrico segnarono per sempre la vita dello scrittore.

Ogni anno, con l’approssimarsi della fine di ottobre - anniversario della disfatta di Caporetto - Gadda si faceva più cupo del solito e i suoi amici non osavano neppure invitarlo ad uscire di casa.
Ciò nonostante, a distanza di tempo, il suo sguardo – profondamente mutato – saprà posarsi di nuovo sulle macerie della guerra. Le “campagne d’Affrica” e la partecipazione dell’Italia al secondo conflitto mondiale saranno materia di anamnesi nel suo scritto-referto più violento ed esilarante: il saggio sulla psicopatologia erotica del ventennale flagello fascista.
Il significato profondo e complesso della tragedia delle armi viene descritto con due penne dal diverso taglio. Il primo stilo, asciutto e straziante, affonda nella stessa carne di chi lo impugna. Barbaro e barocco, il secondo mena fendenti nel corpo della società italiana. Una fisiologia dell’evento bellico articolata in due fasi della nostra Storia da uno dei più grandi scrittori del Novecento.

Fabrizio Gifuni


È il sapiente incontro di lingue che sembrano generarsi, inventarsi e rinascere forgiando immagini verbali e stili, ma sono anche le folgoranti invettive, la loro vitalità, la fusione fra lingua letteraria e dialetto che hanno fatto di Gadda uno dei massimi scrittori moderni. Irretiti dalla sua lingua, inseguendo la visionarietà dei dettagli della pagina che si moltiplicano cancellando il senso originario o prendendone il posto, i lettori si sono perduti nelle pagine dei romanzi.

Esiste però un altro Gadda, più discreto ma non per questo meno impressionante. Lo si trova nei diari, nelle lettere, nelle quotidiane riflessioni. Sono gli anni nei quali l'osservazione del mondo che lo circonda è esteticamente offesa ed esausta. Senza sfiorare alcun patetismo, Gadda è veementemente solo, ma sempre si sofferma per cogliere la realtà nella sua incompiuta contraddizione, contraddizione che lo ha accompagnato tutta la vita.

Annota nel suo Giornale di guerra e di prigionia: "Adesso, o Italiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che avete fatto della patria un inferno per i vostri litigi personali, per le discordie, per i veleni, le bizze, le invidie, dall'epoca dei Comuni a questa parte; adesso ditemi: appartengo io alla vostra razza?". E più avanti scrive, osservandosi alla guida dei suoi alpini: "Fra i miei sostanziali difetti c'è l'eccessiva sensibilità e umanità, difetto grave nella dura vita presente, piaga aperta alla violenza del vento. Ma io lo considero come un dono prezioso, che mi permette di maggiormente percepire, quindi di maggiormente vivere, seppur soffrendo".

Ma Gadda era anche di una timidezza che lo rendeva inavvicinabile, terribilmente misogino, e abitato dal dolore. Rileggendosi, capitava fosse lui stesso a censurare la sua vena nera. Questo non appartenere al mondo mal si è adattato poi al provincialismo goffamente strafottente dell'Italia del dopoguerra. Ciò nonostante Goffredo Parise, che era suo amico, lo considerava l'uomo più spiritoso e dotato di humour della letteratura italiana. Questa intima contraddizione è diventata grande scrittura che ha nascosto il suo autore dietro una magmatica folata di intelligenza creativa come raramente la pagina ha incontrato.
g.c.



12-14 ottobre ore 21,00
Sangue e Bellezza
di e con Enzo Moscato
Palazzo dei Conservatori, Musei Capitolini
prima assoluta

Nel deludente e frigido panorama del teatro italiano contemporaneo, una rassegna – raffinata e al contempo non snobistica; selettiva ma vicina al cuore dello spettatore – qual'è quella di “Esplor/Azioni”, artisticamente diretta in modo splendido da Gioia Costa, è proprio quello che ci vuole, di questi tempi.

Io vi partecipo per la seconda volta, con un mio progetto scenico, e sono proprio felice (devo dirlo!) che mi abbiano richiamato.

Il rendez-vous teatrale con me riguarderà stavolta la figura – già di suo moltissimo drammatica – dell’immenso Caravaggio (visto però attraverso l’occhio, critico-prismatico, di un’altra, immensa, tragica figura: Artaud), negli ultimi suoi giorni di vita, mentre, in fuga da Napoli, ritorna verso Roma, incontro al suo destino di sconcertante morte, oblio, mistero…

Altro non so né voglio dire, mi sembrerebbe presunzione.

Ci rivedremo a Roma, in Campidoglio a ottobre, in una delle sue meravigliose sale con alcuni dipinti del Gran Lombardo appesi alle pareti.

Un caro saluto,

Enzo Moscato


Ci sono autori che creano mondi, dando forma alle immagini forgiate dalla lingua; altri li descrivono. Nel teatro di Enzo Moscato le figure del passato, ma anche gli oggetti, le opere e i pensieri, sono evocati dalla scrittura. Infatti, dietro i volti che incontra vede affiorare gli antichi volti della memoria. Pensa alle anime, e con loro dialoga quando si siede a scrivere. "Ho spesso l’impressione di avere di fronte un’antichità che mi riguarda, molteplici vite che si nascondono". Con questo sguardo scrive il suo teatro.

In scena riesce a comporre il dialetto e l'italiano con le sonorità del francese, del latino, dell'inglese; la stessa cosa avviene con i simboli che appaiono sulla sua pagina. Siano essi legati al mistero di cui il teatro ha bisogno per esistere o alla necessità di infrangere quelle convenzioni di spazio e di tempo, lontane dalla verità , dove c'è Moscato i fantasmi appaiono, fidandosi di lui. Così la scena, inavvertitamente, si popola.

La prima volta che venne a Esplor/Azioni, i grandi corpi del Museo Andersen, quei gessi e quei bronzi che erano l'incarnazione di un modello ideale, lo avevano invitato a una riscrittura di Co'Stell'Azioni. Quando, in un pomeriggio silenzioso, ha visitato il cortile del Palazzo dei Conservatori, ha poi salito l'ampio scalone e d è entrato nella Pinacoteca che conteneva le due grandi tele del Caravaggio, l'emozione si è ripetuta. Qui, grazie a lui, il gran pittore ha convocato Antonin Artaud.

Sono due veggenze che dialogano, due sguardi abituati a grandi spazi fuori dal tempo, fuori dalle lingue, fuori da ogni bisogno di credibilità. Caravaggio tagliato dalla luce, che accende la sua fuga da Napoli mostrando sconcertanti aspetti del destino, Artaud che sulla sua grande pena di reietto, di malato, di padre senza padri ha visto oltre le paure dei codici artistici. Dialogano con i loro lati oscuri, con la pena e con la gioia della libertà che, diversa, li unisce. Dialogano con l'intelligenza di chi sa far transitare in sé i corpi irriconciliati della volontà e del destino.
g.c.




Realizzata con il sostegno dell'Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma e della Fondazione Silvano Toti.


direzione artistica
Gioia Costa

coordinamento
Benedetta Acciari
Paola Pascucci

organizzazione
Associazione Culturale Esplor/Azioni
in collaborazione con Sabrina Filacchioni

ufficio stampa
Giovanna Mazzarella

progetto grafico
Angelo Rinna


direzione tecnica
Step

stampa
TEF s.a.s. – Roma


Esplor/Azioni ringrazia per la preziosa collaborazione e per la disponibilità:

Guido Strazza
per la realizzazione del disegno originale per la rassegna

Padre André Notelaers
Rettore della Basilica San Giorgio in Velabro

Anna Mura Sommella
Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma

Direttore dei Musei Archeologici e di Arte Antica


Antonella Magagnini
Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma
Ufficio Musei Archeologici e di Arte Antica


Padre Simone Maria Fioraso
Abate di Santa Croce in Gerusalemme

Colonnello Antonio Mancinetti
Direttore del Museo Storico della Fanteria Italiana

Esplor/Azioni ringrazia inoltre
Roberta Arati, Associazione Amici di Santa Croce in Gerusalemme, Sonia Bergamasco, Roberta Biglino, Carla Calisse, Raffaele De Lio, Monica Garavello, Monica Guadagnini, Achille Le Pera, Rina Mammoli, Carla Mancinelli, Jean-Paul Manganaro, Giovanna Marinelli, Mirella Martelli, Renato Nicolini, Ludovico Pratesi, Maria Laura Proietti, Quodlibet, Paolo Ruffini, Studio Chiarion Casoni, Paola Virgili.

 

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