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Lettera per Maurizio Grande
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Parigi, giovedì 27 novembre 1997.
Cara Gioia,
ecco un breve testo, che desidero offrire a Maurizio Grande: con la lettura, qualche minuto, bruciatelo in sua memoria… Sarà
la mia offerta per questo 30 novembre nel quale tanto vorrei essere con
voi e nel quale voglio dire che amico sia stato Maurizio per me… Oggi
vorrei poter testimoniare quello che Maurizio mi ha dato: molte delle
sue domande - poste a volte come un nulla e ridendo - continuano ad
aprirmi e lavorano ancora oggi in me. Non si incontra spesso
un’intelligenza così aperta, combattiva e plurale; amavo anche il suo
fuoco, la sua violenza nei dibattiti, nei combattimenti dello spirito. Il piccolo testo che scrivo adesso e che si chiamerà Il dibattito o Il combattimento con lo spazio, lo dedicherò a Maurizio. Ne
isolo questo paragrafo sulla lettura, la scrittura, la parola - su
questo perpetuo incontro che si produce, a teatro e nella nostra testa,
fra lo spazio e il pensiero.
Per Maurizio Grande
“Chiamare
parola la scrittura e scrittura la parola: esse scrivono nell’aria,
parlano nella testa, disegnano con la voce, respirano senza rumore. Nel
teatro della lettura la parola e la scrittura sono un’unica cosa. Come
l’attore, il lettore presta il suo respiro a lettere morte; dà corpo,
dà la vita e la morte della sua respirazione, avanza con colui che
scriveva in una foresta e in una separazione di parole: è una scena
violenta e invisibile, che avviene nel raccoglimento. La parola è
l’inatteso nella testa: muore continuamente e rinasce, mima di avere un
corpo, desidera e brucia; proiettata in avanti e ripetuta ogni volta,
essa respira, inventa che il mondo sia stato trovato respirando. La
scrittura conduce a ciò che è. Non recita, non riassume, non rende
conto, non segue nulla; è davanti, va davanti a se stessa, agisce, è un
verbo: cammina, fa apparire lo spazio nel quale avanza, mostra come lo
spazio sia nato parlato. Il linguaggio non è una realtà immateriale e
al di sopra del mondo, aggiunto alla materia, una testimonianza
sull’universo e il modo che alcuni animali hanno trovato per parlarne;
il mondo non ha atteso noi, come bestie venute da quaggiù, in tal
giorno, per aggiungere il linguaggio alla creazione: il mondo è parlato
dalla nascita. Il linguaggio è d’origine. Non è qualcosa che
avremmo guadagnato sulle bestie a forza di evolvere, ma qualcosa che va
più lontano di tutte le altre cose perché si ricongiunge alla loro
apparizione. La parola non nomina, chiama. E’ un colpo di luce, un
fulmine: le parole non evocano, tagliano, spaccano la roccia. Il
linguaggio non ha nulla da descrivere poiché esso inizia: non c’è nulla
di più nascosto della materia di quanto non lo sia il mistero verbale. Il mondo è un linguaggio, e la nostra parola se ne ricorda”. Sono domande che avrei voluto porre a Maurizio. E
le sue domande mi avrebbero aiutato nel dialogo con questo testo, anche
se il dialogo con Maurizio non è interrotto perché spero di imparare
l’italiano, e di poter finalmente leggere in quella che avrebbe potuto
essere la mia lingua natale tutto ciò di cui abbiamo parlato in tante
notti, ma spero anche che i suoi libri saranno tradotti in francese, e
così quel combattimento dello spirito, animato dal suo fuoco e dalla
sua risata, potrà continuare al di sopra della morte.
Valère Novarina |
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