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A passeggio nella foresta delle lingue
Valère Novarina genera sorpresa ad ogni lettura: il suo ultimo testo, La Scène, è magia della parola, passione del ritmo e logica della composizione. Ogni
volta che Novarina compone un testo teatrale opera in una struttura
rigida: nei vari taccuini, appunti, lettere e pamphlet ha raccontato la
sua pratica di attaccare il testo al muro e passeggiarci dentro.
Durante la traduzione italiana di L'animale del tempo lo abbiamo fatto
insieme, ed ho visto come per incanto il flusso di parole ordinarsi
nella struttura. In quell'occasione dovevamo fare dei tagli e scegliere fra due diverse versioni sceniche del Discours aux animaux
la partitura per Roberto Herlitzka. Attaccato il testo al muro in
caratteri piccoli, come un lungo rotolo di parole, periodi e grafemi,
Novarina con una matita ha decomposto per me le zone del testo. Il point d'orgue
dell'inizio, il diario, l'avvenimento del métro, la lettera al padre,
il sogno, la lista litanica. Come pietre di un antico muro a secco, i
pezzi tenevano seguendo un ordine di equilibri e forze. Anche in questo
testo appaiono frasi realmente ascoltate, citazioni di latino
ecclesiastico, follie televisive fatte dissolvere in una grammatica
impazzita, memorie di Leonardo da Vinci, alterazioni dei poeti a lui
cari o di cantilene infantili e filastrocche. Durante il nostro
incontro di revisione, abitudine presa fin dal primo libro nel 1989,
Novarina tirava fuori dagli scaffali del suo atelier miniere di argot,
gemme d'etimologia, antichi fedeli dizionari che custodiscono le
origini dei vocaboli. Così, ogni dubbio diventava l'occasione di una
scoperta, generando il piacere di soffermarsi su una radice o sulla
storia, sempre lunga e misteriosa, di una parola, accompagnandola
attraverso i casi che ne hanno trasformato il senso fino ad oggi. Uno
dei tanti begli esempi è stato quello dello chandail, il maglione di trecce bianche. È in realtà una memoria dei mercanti d'aglio, i marchands d'ail, che arrivavano dalle campagne con le loro trecce da vendere attorno al collo. Per rivedere
La Scène,
che segna un momento importante nella scrittura di Novarina
riportandolo a una purezza linguistica e ad una intransigenza di
ricerca degne della più alta tradizione francese, abbiamo passato
alcuni giorni fra Parigi e la Normandia, leggendo riga per riga,
insieme e ad alta voce, l'intero libro. Di questi giorni dobbiamo
ringraziare la tenace passione di Jacques Le Ny, che dal suo Atelier de la Traduction tesse
incontri fra le lingue in omaggio alla parola. Ciò che è curioso è che,
affidato il testo al suo editore P.O.L., Novarina ne elabora ogni volta
una versione per la scena. Tagli a parte, le differenze fra l'uno e
l'altra sono minime: leggere inversioni, cambi di cifre nelle
enumerazioni, spostamenti dell'ordine dei nomi negli elenchi. Prova che
lui davvero scrive con le orecchie, come dichiarava in apertura della
sua Lettera agli attori. In effetti, per tradurre la sua
lingua, terminata la verifica dell'esattezza dei termini, bisogna
immergersi nel suono, nella scansione della pagina, nel movimento fra
le parole che tesse quel richiamo sonoro che è il vero protagonista del
suo teatro. Le lunghe sessioni di revisione sono per lui motivo di
una "lezione di italiano", che dice di studiare dal 1989. E il suo
piacere di immergersi in più dizionari, antichi testi, vocabolari ed
enciclopedie diventa in realtà una privilegiata occasione di scoprire
il francese più segreto e le sue intime motivazioni.
Hystrio, anno XVII, n 3 - 2004 |
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