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Le peintre, c’est celui qui ne peut se servir des mots. Sa seule issue, c’est d’être un visionnaire.
Bram van Velde
Devant la parole è una visione, uno scavo oltre l’immagine, una ricerca dell’ossatura profonda, di ciò che sostiene l’apparizione di ogni forma.
Quattro sono i capitoli di questo libro: Devant la parole, L’Opérette reversible, Le débat avec l’espace e Demeure fragile, quattro sguardi sulle pratiche dell’arte. Devant la parole
è una interrogazione, che torna da un libro all’altro, sull’aura
contenuta nella parola umana, che è la nostra carne e il sangue che
scorre nelle nostre vene. L’Opérette reversible è una scaglia
gettata nella forma dell’operetta: l’intera costruzione vacilla e ne
esce una struttura acuminata, destinata a rompersi per ricominciare
all’infinito; un teatro che non accoglie nulla di umano. Nel Débat avec l’espace
Novarina descrive la nascita della scrittura: per semina, germinazione,
maturazione, il libro esce dalla neve come la primavera e da quattro
briciole cadute dal libro precedente e raccolte sboccia rigogliosa la
vegetazione del libro successivo. Demeure fragile è dedicato
alla fragilità dell’attore, con alcune straordinarie pagine sul teatro
Nô, ma anche alla fragilità della tela: sotto lo sguardo di Novarina i
quadri assumono altre forme e rivelano segnali segreti.
Quando, nella Pinacoteca di Brera, Valère Novarina guarda due quadri - la Madonna con il Bambino di Piero della Francesca e il Cristo morto
di Mantegna – in realtà vede somiglianze con pittori lontani nel tempo
e nello spazio, linee mai tracciate, forme che si disegnano dal nulla
nell’equilibrio dei volumi. Nella Madonna con il Bambino
appaiono ai suoi occhi croci invisibili e il misterioso uovo che pende
dalla conchiglia diventa un filo a piombo. Allora la natività si
trasforma in una deposizione dalla croce, il corallo di sangue al collo
del bambino è una preveggenza, e il bambino stesso diventa pane,
offerto, al centro dello spazio. Suggerisce di inginocchiarsi,
Novarina, nella sala della Pinacoteca che ospita il Cristo morto di Mantegna, per farsi assalire dallo spazio ed entrare così nella vertiginosa prospettiva del quadro.
Accogliendo questa scrittura straripante, indomita, che non cerca
consensi e che non offre rifugi, si arriva alla creazione di un nuovo
genere. Valère Novarina costruisce tutti i suoi testi attorno a una
lingua originante: rifiuta ogni forma di comunicazione che faccia
scorrere senso e versi umori e valori ovunque, senza decenza. Nei testi
teatrali costruisce una scena popolata di suoni, destinata a
straordinari attori pronti ad assorbire le onde di una pagina che deve
spezzarsi di continuo: le canzoni si rompono, i monologhi sono
interminabili, le scene si susseguono per ricominciare contro ogni
regola.
Tre modalità compositive ricorrono nella sua scrittura: la nominazione,
la numerazione e la ripetizione. Tre formule dalle quali né la pagina,
né tantomeno la scena teatrale escono indenni.
La nominazione chiama in vita immagini, figure e voci. Nominando, la
pagina e la scena si popolano di personaggi orali che si autogenerano,
fino a sovraffollare di suoni lo spazio destinato all’azione.
Numerando, Novarina abbandona la psicologia: elenca, conta, classifica,
suddivide, distingue, ordina. Fa sì che la parola trovi il suo posto
nello spazio. Infine, la ripetizione, base di ogni ogni formula magica.
Tramite la ripetizione, l’ascolto si lascia condurre fino all’ipnosi,
in zone di abbandono e di non difesa, di sonnolenza vigile.
Valère Novarina ha liberato la lingua dalla scrittura, legandosi così a
una forma altrettanto potente, che è la straripante creazione di suono.
In pagina e in scena appaiono, attraverso assonanze, richiami,
paronomasie e imprevedibili incontri, un fiume di nomi, nel cui alveo
si riversano tutti gli affluenti di tutte le acque del mondo, creando
un mare di torrenti, rivoli e ruscelli che scorrono insieme, l’uno
sull’altro, accavallandosi fino all’abbandono ritmico, alla spossatezza
dell’ascolto, alla rinuncia al senso.
La rinuncia al senso è un elemento centrale, per capire la sua
scrittura: è da qui che nascono i testi senza personaggi, gli
spettacoli senza atti e scene, i libri senza trama. Rendendo
impossibile ogni forma di immedesimazione e di psicologia, ma anche
ogni ingerenza dell’umano, Valère Novarina mette al riparo il suo
teatro dalle scorie delle parole vuote. Si interroga sul mistero chiuso
nell’attore, gelosamente saputo e custodito dal corpo ma mai detto, mai
enunciato: “Un giorno bisognerà che un attore affidi il suo corpo vivo
alla medicina, che lo si apra, che si sappia infine cosa accade dentro,
quando recita. Che si sappia come è fatto, l’altro corpo. Perché
l’attore recita con un corpo altro. Con un corpo che funziona
nell’altro senso” . Nel suo teatro di parole che non vuole comunicare
nulla, gli attori devono uscire ancora di piú dal loro corpo. Sono
macchine del sentimento e cancellano ogni residuo legame con il mondo
così com’è, con il suo ordine di spazio e di tempo, per poter versare
in scena il delirio ritmico da cui l’autore è ciclicamente sommerso.
Scegliendo le strade più inconsuete, i raccordi più ardui e meno
visibili, i collegamenti più antichi, in Devant la parole la Bibbia si
apre alla cabala, Umm Kahsam e Bach si incontrano sotto le stesse
volute, gli stessi cerchi respiratori, Madame Guyon senza averlo mai
visto commenta, due secoli dopo, la Madonna con il Bambino di Piero
della Francesca, Augustin Lesage dipinge l’avventura spaziale nella sua
Peinture n 1 che è a Losanna, e che ha il suo doppio a
Villeneuve-lès-Avignon nell’Incoronazione della vergine di Enguerrand
Quarton: broccati, stoffe, velluti, pieghe che somigliano ad ali di
farfalle, diventano i possibili richiami da un secolo all’altro, da una
lingua viva a un’altra ancor piú viva che segretamente, dalla tela di
un’immagine esposta a Brera o a Losanna, arriva a dar nuova luce e
nuovi ritmi agli affreschi sonori che nascono dalle sue parole. Ciò che
le parole esplorano, che Novarina chiede e che noi riceviamo dal loro
comune viaggio rinasce in antiche forme che si fondono nelle lingue,
nei secoli e negli spazi in queste pagine nelle quali si annega con
stordimento e passione.
Prefazione per l'edizione italiana di Devant la parole, Davanti alla parola, Ubulibri, Milano 2002
Con il concorso dell'Atelier Européen de la Traduction - Scène Nationale d'Orléans.
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