Jean-Luc Lagarce
sa raccontare il silenzio. Crea situazioni nelle quali la cosa da dire è
protagonista della pièce e, sempre, la
cosa resta non detta. Così, omissioni, ellissi, non risposte, diventano
segni visibili di una pagina di parole taciute.
Morto a
trentotto anni di aids, nel ‘95, questo giovane uomo appassionato è stato un
vorace, generoso, lettore. Generoso perché ben prima del grande successo –è oggi
l’autore più rappresentato in Francia dopo Molière-, ha scritto romanzi, un
libretto d’opera, una sceneggiatura e venticinque testi teatrali. Molti li ha
messi in scena. Ma la sua passione appare, chiara, dalla lettura del diario,
che scriveva ogni giorno. Pagine febbrili, che accompagnano le letture, i film,
gli incontri, le tournée pagate poco. Emerge, vivo, quanto il suo tempo fosse
ricco di arte e parole. Questo lo ha portato a inventare una lingua: attraverso ricorrenze stilistiche come la
ripetizione ossessiva, la frammentazione del discorso e della frase, l’uso di
anafore che si alternano ai silenzi Lagarce ha fondato un linguaggio. La tessitura della sua pagina si
è imposta come stile: possiede una maestria nell’ingigantire le inezie che scenicamente
produce tensione fra i personaggi, e sa condurre l’esitazione a vertici
esilaranti, tenendo sul filo del rasoio una compagine di figure. In scena non
succede nulla, ma da una pièce all’altra tornano frasi che rivelano la dolcezza
dei suoi eroi, la loro solitudine, e l’impossibilità fatale di cambiare. Lagarce
non ha una scrittura mimetica, composta per piacere: sa invece declinare con
impressionante lucidità la tastiera emotiva e cromatica della pagina.
Forse è
questa nuova impossibilità del dire che ha colpito Luca Ronconi, mago della
frammentazione. Nell’ampia rosa di autori scelti da Face à face in questi anni,
ha scelto Lagarce per due produzioni al Piccolo di Milano, I pretendenti e Giusto la
fine del mondo. Leggendo insieme la traduzione dei Pretendenti Ronconi sottolineava
la differenza fra il pubblico francese e quello italiano: “I francesi
ascoltano, gli italiani guardano”. Ecco il segreto di tanta distanza: divise
dalle Alpi, la Francia e l’Italia dialogano cercando le loro radici comuni e si
ritrovano nelle loro differenze. È un antico discorso d’amore ininterrotto, il
loro.
Sempre
nell’ambito di Face à face, Valentino Villa ha scelto ancora Lagarce per due
regie: Noi, gli eroi, con gli allievi
dell’Accademia Silvio D’Amico, e Music-Hall,
in coproduzione con Radio3, con Daria Deflorian, Marco
Angelilli e Diego Ribon. Grazie a loro, Lagarce sembra avere trovato oggi
il suo pubblico anche in Italia. Quindici anni fa Nous, les héros era già stato ospite del festival d’autunno, con la
regia di Olivier Py, amico di Lagarce, autore, attore e ora direttore del Festival
di Avignone. Lagarce era morto da poco, e quella è stata l’occasione per
scoprirlo, in Italia.
Un autore
che scrive agli artisti per gli artisti e spesso di artisti. Che esplora
l’ombra e non ha fretta, pur avendo un senso del tempo fatale. La morte è presente come sfondo, punto
di partenza più che di arrivo, scenario all’interno del quale si svolge
l’azione. Se Lagarce non ha mai fatto mistero della sua malattia, non la ha
messa al centro della scrittura. Però c’era, c’è: Music-Hall racconta il tristissimo declino di una compagnia
amatoriale, ridotta a far finta di avere pubblico in un’ultima sala deserta.
Gioia
Costa
“Quaderni del Teatro di Roma”, n 7 Roma, giugno
2012.
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