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Les Philosophes, regia di Josef Nadj   PDF  Stampa  E-mail 


Si chiude la 56a edizione del festival di Avignone e alcuni spettacoli tornano nei discorsi: la Medea Material di Müller diretta da Vassiliev con Valérie Dréville, A.#02, secondo importante appuntamento della tragedia endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio, Platonov di Cechov diretto da Eric Lacascade, Il Silenzio, Guerra e Rabbia di Pippo Delbono, trilogia che ha diviso il pubblico e la critica.
Ritroviamo Josef Nadj che ha presentato un omaggio a Bruno Schulz, Les Philosophes Quest’opera esplora tre forme che creano un unico spettacolo: 24 quadri-video, un film, una performance. Nadj interroga la diversità di materiali e tecniche e la loro capacità di racconto. Nella grande tenda, un corridoio nero ospita i quadri-video che mostrano le figure di Nadj: uomini con la bombetta, tavoli, sedie.
All’interno della tenda quattro schermi chiudono lo spazio, e su ciascuno viene proiettato un film nel quale, in una foresta nordica, alcuni uomini trasportano una cassa guidati da un filosofo, che è il simbolo della conoscenza, dell’esperienza e della Legge. Cercano l’origine, che deve contenere il senso. Lo cercano nel movimento, nella pratica, nell’azione. Scelgono uno spazio, che delimitano con corde tese fra i tronchi, e siedono sulla cassa, troppo piccola per accoglierli tutti: l’assurdità della situazione ricorda le avventure di Jacques Tati, e la magia di Nadj ritrova la forza dei primi spettacoli. Il palcoscenico si apre, gli schermi scompaiono e i corpi scivolano in botole che li inghiottono nella notte. Un telo bianco trasforma la scena in banchetto, il cui candore è in contrasto con le figure degli interpreti. Le acrobazie per non violarne la purezza precedono i segni neri che gli interpreti, il viso coperto da una calza, tracciano con complicate evoluzioni. Il Simposio genera parole che nascono dai corpi, poiché l’inchiostro è nella calotta della bombetta. Arrivano poi sedie, leggii, valige, e inizia un concerto, diretto da una marionetta issata su una bombetta: tirandone i fili, la figura si alza, guida l’orchestra e congeda il pubblico. Un teatro di insonnia, quello creato da Nadj. Che una volta di più riafferma il suo potere di sciamano di immagini.
Sasha Waltz si interroga invece sull’assenza attraverso la danza: noBody , ultimo capitolo della "Trilogia del corpo" creato alla Schaubühne per 25 danzatori, è dedicato a ciò che persiste dopo la morte. Una riflessione sul lutto che nasce dal movimento affidato a una moltitudine di interpreti.
La bella partitura musicale di Hans Peter Kuhn ricorda il suono di un aereo pronto a decollare, e lo spettacolo è la preparazione a qualcosa: NoBody, "nessun corpo" ma anche "nessuno", interroga il fantasma del doppio, ed è proprio nelle scene di insieme che emerge il cuore della ricerca di Sasha Waltz. Le masse dei corpi si aprono e si fendono rivelando le resistenze. I danzatori si piegano, ma uno rimane eretto; poi si inclinano di lato, uno resiste. È il disegno corporeo della ferita, della resistenza, della singolarità. Da un’alta finestra cade un enorme telo bianco che, sospeso, è una presenza inquietante sulle grigie mura del Palazzo. La ricerca di un centro fisico o mentale passa anche per l’appropriazione, e il corpo di un danzatore diventa bersaglio del desiderio. Occupa il corpo di un altro, prende possesso dei suoi abiti annientandosi fino a restare inerme in scena. La grande forma bianca cade allora, diventando nuvola leggera nella quale il corpo viene assorbito e poi rilasciato trasformando l’umano in bambola, in oggetto del desiderio che si abbandona ai capricci del vento.
Cleansed di Sarah Kane è invece uno sguardo sulla violenza, che non conosce attenuazioni né cedimenti. Questa versione è diretta da Krysztof Warlikowski, ed è fedele alle parole dell’autrice, che lo presentava dicendo: "Nella vita gli atti violenti accadono, non hanno una costruzione drammatica, sono orribili e basta. Come nei miei testi".
Warlikowski ne ha fatto una regia rigorosa e fedele, nella quale la brutalità delle azioni affiora come minaccia che supera i confini della scena. Anche questa volta, turbati dal crescendo di dolore, alcuni spettatori lasciano la sala. Di Cleanesed, nel 1999 il Festival d’Autunno ospitò a Roma la regia di Peter Zadek, la cui coraggiosa crudezza è rimasta viva nella mente di coloro che hanno visto lo spettacolo. Anche Warlikowski ha seguito le indicazioni, molto precise, di Sarah Kane, concedendosi però delle calligrafie, come i fasci di luce che sottolineano un dettaglio, il fiore di plastica presente fin dalla prima scena, alcune sospensioni nel tempo del racconto. Non ha ceduto alle lusinghe di sangue e sesso, dei quali il nuovo teatro inglese è pervaso. Eppure, visto il rigore della sua messa in scena, queste concessioni annebbiano la spietata chiarezza della scrittura, rendendo il testo della Kane più prossimo all’orrore che alla disperazione.

I "FILOSOFI" DI NADJ IN CERCA DEL SENSO DELLA VITA
L’Unità, 1 agosto 2002

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